Nodi, gasse e colli

L'inizio di un corso di vela per principianti prevede necessariamente una serie di lezioni sull'esistenza dei nodi e su le diverse modalità di effettuazione di ciascuno di questi. Normalmente si spiega all'allievo un insieme di termini tecnici e si mostra come fare un nodo e quali sono i suoi pregi o i suoi difetti.
Personalmente prima di imparare ad andare in barca pensavo che un nodo fosse semplicemente un groppo in una corda, ma in seguito imparai il contrario. La prima volta che andai in barca il comandante, arrivando in porto, mi ordinò di saltare a terra con la cima di prua in mano. Atterrai sano e salvo, e subito inizia ad arrotolare la cima attorno ad un posto di ormeggio, avvolgendola e riavvolgendola e alla fine annodando i due capi nel peggiore groviglio immaginabile.
Quando lo skipper vide il disastro che avevo combinato, lo disfece con fatica e rapidamente infilò i due cappi simmetrici, uno in cima all'altro, intorno alla bitta e li tirò strettamente.
"E' il modo migliore per legare una cima a un posto di ormeggio", disse. "Ci vuole soltanto un secondo e non si aggroviglia, per quanto forte possa tirare la barca".
Per provarmelo, disfò il nodo con facilità, anche se era annodato stretto, e mi porse la cima. La prima volta che tentai di fare lo stesso nodo, avvolsi il cappio superiore nel senso sbagliato, e quando diedi uno strattone la cima scivolò via dalla bitta di ormeggio. Provai ancora, stavolta assicurandomi che i cappi fossero identici, e li infilai intorno alla bitta, prima l'uno poi l'altro. Quando ebbi finito il vento soffiò sul fianco della barca e la spinse lontano dal molo; per un attimo pensai che la barca se ne sarebbe andata, ma la cima si strinse forte e il nodo tenne.
Stavo in piedi sul molo a guardare le cime intrecciate e il modo perfetto con il quale avvolgevano la bitta di ormeggio; il nodo era così semplice, eppure così elegante nella sua semplicità. Due cappi, tutto qui; due cappi intorno ad un posto di ormeggio, con le due estremità ritorte insieme che puntavano fuori andando in direzioni opposte, un equilibrio di forze così ben calibrato e così gradevolmente artistico che era difficile credere che fosse anche utile.
Il comandante non mi aveva detto: "ora ti insegno a fare il nodo parlato", e ne imparai il nome soltanto quando trovai la figura in un manuale di nodi. Il manuale dava una definizione complicata che non diceva affatto di infilare due cappi in un posto d'ormeggio. Cercai di decifrare il disegno, ma più lo studiavo più mi appariva confuso, ed un pensiero cinico mi attraversò la mente. Mi resi conto che parecchi marinai sapevano fare il nodo parlato molto meglio dell'esperto che aveva scritto il libro.
Avevo trovato quel manuale in una libreria dedicata al mare: lo comprai, visto che costava poco, ma lo usai solamente come fonte secondaria per verificare i nomi dei nodi che imparavo a fare dai marinai che sapevano esattamente come intrecciare le cime, anche se non ne conoscevano esattamente i nomi. In seguito, altri uomini di mare mi permisero di aggiungere altri due nodi al mio repertorio, utili alternative al nodo parlato. Il nodo savoia, che usavo all'estremità delle scotte per impedire loro di scivolare fuori dai bozzelli; la gassa d'amante, un nodo stabile che usavo quando avevo bisogno di creare una volta resistente; e il nodo bandiera, un modo sicuro di legare due cime di sezione diversa.
Un giorno, un marinaio imbarcato su di una barca e che aveva fatto della sua passione il suo lavoro, strabico e con il volto segnato dalle intemperie, mi vide legare le estremità di una sagola perché non si sciogliessero e mi insegnò invece ad intrecciarne i capi. Un uomo semplice che dava semplici soluzioni: mise il nodo così ottenuto sotto la spessa suola della sua scarpa e si esibì in una mossa che chiamava "pesta ed arrotola", che serviva schiacciare bene le estremità. Cercai sul mio manuale, ma non trovai alcun riferimento a quel "passo di danza".
Mi esercitai con quei nodi finchè non li ebbi stampati in mente e fui in grado di farli ad occhi chiusi. Erano così geniali che non potevo fare a meno di chiedermi da dove venissero. Mi pareva che un buon nodo fosse una bella canzone: passa da padre in figlio fino ai nipoti, finchè non diventa tradizione ed il suo attore viene dimenticato dalla storia.
Cerco di ricordare chi mi insegnò a fare il nodo piano, progenitore di tutti i nodi, e d'un tratto mi rendo conto che è stata mia madre, mentre mi insegnava ad allacciarmi le scarpe. Una variante di questo nodo così comune nacque presso i marinai antichi, che lo usavano per legare una vela terzarolata in modo che potesse affrontare il vento fresco. Era così utile che gradualmente divenne popolarissimo in tutti i campi ed è presente ancora oggi nella cultura popolare, disponibile per chiunque voglia scoprire come funziona.
Il nodo piano consiste di due nodi da pacchi legati strettamente, eppure è incredibile come è facile sbagliarsi. Se incrociate male le estremità del secondo nodo, otterrete un "nodo incrociato", una cosa orrenda ed ingarbugliata, specialmente se la cima è umida; se si stratta di una emergenza dovrete tagliarlo con il coltello: una punizione severa per un errore così piccolo. Se invece incrociate le estremità nel modo giusto otterrete il nodo voluto, un nodo caratteristico che non assomiglia al "nodo incrociato", né nell'aspetto né nelle funzioni.
Il mio manuale mi mette in guardia contro il nodo piano, dice che non è affidabile come sembra: una scossa improvvisa o una torsione sbagliata, ed è facile che si sciolga. Ciononostante, l'ho usato innumerevoli volte nella mia vita e non mi ha mai tradito. Da ragazzo pensavo che fosse soltanto uno dei nodi utili, ma con il passare del tempo mi sono ritrovato a farlo per il solo piacere di guardarlo, come uno che guardi con stupore ipnotico la scia ribollente di una barca, quasi nascondesse significati reconditi.
Tendo la mano e afferro il cordoncino che pende dalla tapparella della finestra sopra la mia scrivania. Quando mi voglio divertire e distrarmi dalla noia delle parole, faccio un nodo al cordoncino, soltanto per il gusto di vedere come viene e come si disfa. Faccio un nodo piano, stando attento che il capo che si intreccia in cima al primo nodo si intrecci anche in cima al secondo. Lo tiro, lo allento, lo tiro. Non si scioglie mai, non si ingarbuglia mai e mentre lo stringo e lo allento, lo apro e lo chiudo, mi appare un immagine, un immagine sensuale mai veduta prima.
Vedo un simbolo perfetto di unione tra maschio e femmina, tra uomo e donna, tra marito e moglie, con il loro amarsi e lasciarsi, il loro bisogno di stare insieme ed il loro desiderio di separarsi. Quando stringo il nodo vedo due amanti allacciati, le braccia dell'uno strette intorno all'altro, le gambe distese. Quando lo allento vedo i due amanti che si lasciano, e questo deve accadere, perché due amanti, non importa quanto si amino, non possono essere vincolati sempre da loro amore in ogni momento della loro vita.
Ma accade troppo spesso che quando un uomo ed una donna stanno insieme non formano un nodo piano; formano invece un "nodo incrociato", e in amore sono quindi più prigionieri che compagni. Si agitano e sfregano l'uno contro l'altro, ma nonostante lottino con forza non riescono a sfuggire al loro legame. "Il sacro vincolo", li sentiamo dire mentre si dirigono verso l'altare, e queste parole sono più profetiche di quanto loro stessi non credano. Dopo il matrimonio camminano in fila indiana con la stessa andatura e lo stesso passo, arrestandosi agli stessi ostacoli. E' una condizione pietosa, ma non se ne può prescindere; il nodo che hanno stretto non si può sciogliere, e così finiscono per strangolarsi a vicenda.
Afferro di nuovo la cordicella e faccio una gassa d'amante, un piccolo cappio di una parte della corda, e poi ci faccio passare dentro un'estremità: sotto, sopra, intorno ed attraverso. Faccio un nodo bandiera e mi stupisco di come i movimenti siano simili a quelli della gassa d'amante: sotto, sopra, intorno e dentro.
Rigiro l'alto sgabello su cui sto seduto e faccio un nodo parlato e poi due mezzi colli intorno a una delle gambe. Faccio un nodo savoia e poi un nodo piano, e mi riempie un sacco di soddisfazione per aver verificato che possiedo ancore le capacità acquisite da ragazzo.
Sei nodi, tutto qui: sei nodi, ciascuno radicato nella mia psiche, ciascuno con una propria mitologia inesplorata, e so che ce ne sono migliaia di altri, così tanti nodi sconosciuti, come tanti libri non letti, che non mi basterebbe una vita per cominciare a imparali. Così mi accontento di questi sei, perché sono quelli di cui ho più bisogno quando scendo in mare ed alzo le vele.