L’Istruttore di vela

Un giorno d'estate, me ne stavo seduto sul pontile dove vengono ormeggiate le barche del secondo corso della Scuola di Vela Centro Velico Caprera. E' un pontile di cemento contornato di prolungamenti di legno al fine di ridurre i danni durante le manovre di arrivo da parte di allievi inesperti ed alle prime armi nell'arte velica. Da nord soffiava un venticello incostante e io stavo aspettando che le quattro barche del corso che stavo frequentando in quel periodo tornassero per effettuare delle manovre di esercitazione di arrivo al proprio ormeggio.
Man mano che gli allievi si avvicinavano all'approdo osservavo l'armamento delle singole barche via via che arrivavano a portata di voce. Una di queste si presentò con la randa alzata solamente per due terzi dell'albero, così il boma pendeva basso e mancava di poco la testa delle persone che si trovavano nel pozzetto e che erano addette alla manovra. Mi resi immediatamente conto che gli allievi non si erano resi conto dell'errato armamento con cui, peraltro, avevano navigato tutta la giornata. L'equipaggio si stava divertendo ed era sufficientemente concentrato nelle manovre. Ovviamente ero certo che si sarebbero divertiti di più regolando bene la drizza di randa in maniera che la vela potesse dare la giusta propulsione alla barca permettendole, inoltre, la corretta manovrabilità durante le manovre.
Tuttavia non mi sentii di segnalarlo. "Lascia che imparino da soli!" continuavo a ripetermi sottovoce. Era un buon consiglio, ma impossibile da seguire. Continuavo ad alzare gli occhi per guardare quell'imbarcazione che veleggiava irregolarmente nello specchio d'acqua di Porto Palma.
Quella vela floscia mi colpiva per mancanza di decenza, di educazione e di eleganza: non volevo che i miei allievi andassero in giro in modo così sconveniente. Quando non potei più sopportare la vista, scesi sulla banchina di legno del pontile e cominciai ad agitare le braccia, cercando di attirare l'attenzione del timoniere. Alla fine lui mi vide e si diresse verso di me, virando dalla parte sbagliata e virando di prua nuovamente. Fortunatamente il vento era poco e non successe niente di grave.
Quando fu alla distanza giusta, misi un pugno sopra l'altro, come se stessi tirando in giù la drizza, e gli urlai: "Tira più su la vela ! Navigherai molto meglio !".
Ma il timoniere strattonò la barra, fece nuovamente una virata in prua e si diresse verso la direzione opposta, con il boma che andava su e giù per il pozzetto.
Ero irritato ed offeso, arrabbiato con lui e con me stesso. Volevo insegnare al mio allievo alcuni trucchi e consigli che avevo imparato: te lo offro da parte del velista che c'è in me al velista che sta nascendo in te. Ma l'allievo aveva rifiutato quello che avevo da trasmettergli, le lezioni che avevo accumulato andando in barca prima di lui.
Tornai a sedermi sul pontile e cercai di concentrarmi sulle altre imbarcazioni che stavano roteando intorno a me, ma non riuscivo a farlo. Mi resi conto di quello che stavo pensando e chiusi gli occhi: potevo sentire attraverso le palpebre il bruciore della luminosità del sole ed ebbi questo pensiero: padre e figlio si incontrarono sulle sponde di un fiume che scorre verso l'infinito. Il figlio denigra il vecchio, che non si degna di rispondergli. Il padre si limita a stare seduto in silenzio e contempla il fiume che gli scorre a fianco. E' il fiume al di la della comprensione, della conoscenza, dell'orgoglio; è il fiume che scorre oltre il se che si sforza continuamente di manifestarsi.
Avevo letto questa scena immortale in Siddharta di Herman Hesse qualche anno prima che si verificasse questa situazione con i miei allievi ed ora emergeva da qualche silenzioso luogo interiore e mi parlava ancora, costringendomi a considerare come mi ero comportato. "Perché dovevo urlare e mettermi ad agitare stupidamente le braccia? Perché dovevo dire al mio allievo che sarebbe stato meglio alzare di più la randa sull'albero ?".
Tentai di rimuovere quell'episodio, ma non ero Siddharta e l'immagine di quella vela floscia mi rimase in mente per tutto quel lungo pomeriggio.
Tuttavia gli allievi si iscrivono ad un corso di vela per imparare e quella sera mentre eravamo tutti a cena, il timoniere mi chiese di spiegargli cosa avevo voluto che lui facesse quando nel pomeriggio gli avevo segnalato un errore che stava commettendo. Dal suo tono di voce capii che era curioso ed interessato a comprendere cosa avesse potuto fare per migliorare la sua condizione nautica, una sorta di rimedio al suo atteggiamento che aveva tenuto in prossimità del pontile dove lo avevo chiamato per potergli dare dei consigli, così smisi di sentirmi amareggiato e mi concentrai per dargli una risposta. Con una forchetta ed un tovagliolo gli spiegai come poteva meglio lavorare la randa se lui, congiuntamente al suo equipaggio, avesse correttamente alzato la vela per tutta la lunghezza dell'albero. Gli spiegai le forze che erano in gioco e come avrebbe avuto sicuramente maggiore manovrabilità se avesse semplicemente ben ghindato la drizza della randa.
Quella dimostrazione fu utile, rischiarò momentaneamente l'atmosfera. Ma più tardi, quella sera, mentre ero nuovamente seduto da solo sulla banchina del pomeriggio, circondato dal buio, mi sentivo ancora oppresso dall'immagine della vela floscia. Le parole che non avevo pronunciato mi sgorgarono dentro ed intavolai con il mio allievo una conversazione immaginaria, in cui gli dicevo tranquillamente quello che sentivo di dirgli per correggere i suoi errori commessi durante l'armamento della sua imbarcazione. Prepara tutto quello che ti serve per poter armare la barca. Verifica le condizioni meteo che andrai a trovare durante la tua navigazione, Osserva la natura intorno a te individuando il luogo più calmo se mai ti dovesse servire rindossarti per poter sistemare qualcosa a bordo che necessita il tuo intervento. Alza la vela per quanto te lo permette l'albero e lascia che sventoli nella brezza. Prepara tutte le scotte in maniera che possano lavorare correttamente. Pensa a come si comporterà la barca una volta in navigazione, e come si immergerà ed emergerà dall'acqua. Ascolta il suono del vento tra il sartiame, il dolce sciacquio dello scafo. Afferra la barra, sentine sulla mano la leggera pressione mentre orzi o poggi per far cambiare direzione allo scafo. Bordeggia e vira in prua o in poppa per seguire la rotta che ti sei prefissato; se la barca sbanda sposta il tuo peso e quello del tuo equipaggio. Aspetta finchè non sei sicuro che la tua barca non sia semplicemente un oggetto al di fuori di te, ma un aspetto di te stesso, un tuo prolungamento. Quando sarai consapevole che tu, la barca ed il vento siete una cosa sola, sarai pronto per navigare.
Era una predica che aveva un grosso difetto: era rivolta all'aria notturna, ma era meglio così. Mi resi conto che se il mio allievo fosse stato presente, avrebbe fatto esattamente quello che avevo fatto io ai tempi delle prime navigazioni e dell'apprendimento dei primi rudimenti di vela. Avrei si ascoltato ma con un tempo limite dopo di che avrei cominciato ad annoiarmi sperando che la lezioncina finisse al più presto
Rimasi ancora un po' seduto nell'oscurità osservando la luna che ricopriva quello specchio d'acqua di una luce scintillante. Dopo un po' immaginai una delle nostre barche con la vela floscia e in quella visione vidi il mio allievo ghindare la drizza della randa fino in cima all'albero e poi vidi la barca solcare Porto palma nella brezza. Navigava con le sole sue capacità, senza che io gli dessi alcuna indicazione. In quel momento ricordai cosa avevo sentito da allievo e che da istruttore avevo dimenticato, e seppi che dovevo dare al mio discepolo la libertà di trovare i propri istruttori, come io avevo trovato i miei.
I miei istruttori li avevo scelti io e non erano loro ad aver scelto me.
All'interno di ogni corso che ho frequentato al Centro Velico di Caprera ho conosciuto diverse figure di istruttore. C'era quello che sapeva tutto di tecnica, quello che sapeva fare meglio i nodi, quello più anziano, quello più entusiasta perché giovane. Tutti avevano delle peculiarità che li faceva differenziare dagli altri. Ma ognuno aveva della caratteristiche diverse e proprio per questo motivo alcuni mi affascinavano maggiormente di altri. Magari anche solo nei modi di fare o nei modi di esporre i propri insegnamenti.
Ma questo era nella natura delle cose. Alcune persone le senti più vicine perché ti assomigliano e quindi hai delle somiglianze da condividere, altre proprio perché sono lontane anni luce da te ed allora cerchi quel qualcosa che tu non hai e che vedi nell'altra persona.
Personalmente le scelte caddero sempre su persone che non si erano imposti con consigli gratuiti o sfoggio di conoscenze altisonanti. Se vedevano un principiante dibattersi nel vento, non correvano immediatamente a dirgli come regolare le vele. Ma se quello stesso principiante gli si avvicinava per avere un loro consiglio, non gli voltavano certo le spalle.
Taciturni ? Certamente: quando ero giovane i marinai erano proprio così. Ma erano anche uomini di carattere che non erano avari della propria esperienza, e la dispensavano gratuitamente a chiunque avesse abbastanza buon senso da chiedere il loro aiuto.
Stavo seduto sul pontile a scrutare il mare con questi pensieri che mi attraversavano il cervello. Ora la luna, che si era levata al calar del sole, era in mezzo al cielo. Mi alzai di scatto e dopo aver verificato che tutto il corso fosse in branda, crollai sul mio letto.
La mattina seguente, quando mi risvegliai, una debole brezza soffiava attraverso al finestra. Camminai per la discesa che portava alla banchina ed aspettai che l'intero corso si preparasse per una nuova giornata di mare. Ma prima che arrivassero gli allievi salii su un Mosquitaire, l'imbarcazione in dotazione al corso precrociera, alzai correttamente le vele, fissai il timone e calai la deriva mobile. Rimasi fermo ad ascoltare la vela che sbatteva, ancora fermo al mio gavitello. Liberai la barca dal suo ormeggio e bordeggiai in Porto Palma, virando in prua che in poppa,
Rientrai con il vento alle spalle e ripresi il mio gavitello fermando la barca al suo posto. Alzai la deriva e stavo per ammainare le vele quando vidi il mio allievo del giorno precedente che, seduto sulla banchina, mi stava osservando intensamente.
"La barca è pronta. Prendi le tue cose e preparati a partire", gli dissi.
Vidi che salii a bordo, sistemò le sue cose insieme al resto dell'equipaggio che intanto era arrivato sul pontile per imbarcarsi e prese possesso dell'imbarcazione.
Notai che mise parecchia attenzione alla regolazione della drizza della randa, assicurandosi che fosse ben ghindata. Una volta completato l'armo della barca lasciò l'ormeggio insieme alle altre imbarcazioni del corso.
Quel giorno era previsto che non mi dovessi imbarcare e così tornai verso la mensa per sorseggiarmi un buon caffè.
Mentre percorrevo la salita verso la cucina pensai a quello che avevo appena visto colpito dalla particolare attenzione che il mio allievo avesse riposto sulla tensione della drizza della randa e, perché no, sull'intero armamento di tutta l'imbarcazione, stupefatto da come il suo atteggiamento fosse mutato in due semplici giorni.
Tutto questo è accaduto molto tempo fa, ma alla fine ne ho compreso il significato. Tutti hanno bisogno di un maestro, istruttore di vela che sia. Ma non di un maestro qualsiasi. Non abbiamo bisogno di critici che ci stupiscano con le loro conoscenze, e nemmeno di predicatori che ci apostrofino come se non esistessimo nemmeno. Non abbiamo bisogno di gente che ci intimidisca, che ci assilli, che ci insegni meccanicamente o con protocolli stabiliti, perché non servirebbe a niente.
Abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci mostri come fare un nodo parlato o come fare una virata.
La vita è apprendistato: non lo sapevo quando alzai per la prima volta una vela, ma ora lo so. Ci piace pensare che siamo nati con tutte le conoscenze necessarie, e che potremmo arrivare per caso a ciò che già sappiamo perché dentro di noi dalla nascita. Ma se vogliamo imparare, se lo vogliamo veramente, dobbiamo cancellare la vernice protettiva del falso orgoglio e permettere agli istruttori che abbiamo scelto di fare parte delle nostre vite.
Dobbiamo trovare quelle persone speciali che racchiudono in se le tradizioni e possono trasmettercele quando abbiamo un gran desiderio di imparare. Possono essere persone incontrate personalmente nelle aule scolastiche, nei cantieri navali o semplicemente in una scuola di vela. Oppure possono essere persone mai incontrate e che mai incontreremo perché appartengono ad altre epoche.
Se vogliamo scrivere, abbiamo bisogno di un maestro che ci parli con voce simile alla nostra. Se vogliamo dipingere abbiamo bisogno di un maestro di cui apprezziamo la visione della luce, della forma e del colore. Se vogliamo comporre, dobbiamo avere un maestro la cui musica ci tocchi l'anima.
Se vogliamo andare in barca a vela, dobbiamo avere un "istruttore" che conosca perfettamente il sottile equilibrio tra vento, mare e vela.
Non rividi più il mio allievo e non so se fu preso dalla malattia di cui mi sono ammalato tanti anni fa, la vela, ma sono convinto che, qualunque cosa abbia fatto, abbia trovato i suoi maestri che gli hanno saputo parlare.
Autore
Francesco Curone